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La profezia di Cortés
Tra i luoghi più conosciuti d’Abruzzo, ci sono sicuramente le colline adiacenti ai fiumi Orta e Pescara. Situate non molto lontano dal mare uniscono quel soave e allo stesso tempo forte senso della montagna a quella natura dolce e libera, tipica delle colline abruzzesi.
Il vino prodotto in queste zone è considerato di grande livello, poiché i vigneti si abbinano facilmente alla biodiversità del territorio e alla generosità della terra. Il mosto è di qualità superiore, con un profumo e una fragranza al di fuori del comune. Tutto ciò rende il vino veramente unico e speciale.
Si narra che già nel 1500, quando le colline abruzzesi erano sotto il dominio Spagnolo (Regno di Napoli), il vino di questi territori era considerato
uno dei migliori del regno.
Il mosto, dopo essere stato lavorato con una particolare procedura, pare che fosse anche afrodisiaco e per questo molto apprezzato dai dignitari spagnoli. I quali erano sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo e speciale, per i loro sontuosi ricevimenti.
Tra i nobili spagnoli, che più apprezzarono questo particolare nettare, ci fu il comandante Hernán Cortés. Il condottiero spagnolo non si limitò soltanto a usare il vino, nei suoi sfiziosi ricevimenti, ma volle che questo ceppo di uva, cosi miracoloso, fosse trapiantato anche nelle calde terre spagnole.
Volle anche che alcuni contadini del luogo e il borgomastro delle terre e delle vigne, fossero portati in Spagna. Negli anni a seguire i contadini abruzzesi e il borgomastro, ribattezzato dagli spagnoli Don Marselo, impiantarono molti vigneti nelle colline Andaluse, producendo un ottimo vino. Molto simile a quello prodotto in Abruzzo e chiamato in onore del condottiero spagnolo: Sangue Di Cortés.
Nel 1518 Cortés fu convocato dal re Di Spagna, Carlo d’Asburgo, che gli affidò una missione importante e molto pericolosa: conquistare i territori del Nuovo Mondo. L’Imperatore mise a disposizione di Cortés 11 Navi, 500 Soldati, 100 Marinai, 16 Cavalli, 10 Cannoni e un forziere pieno di dobloni d’oro. Cortés disse all’Imperatore che avrebbe portato con se alcuni dei suoi uomini più fidati: tra questi naturalmente c’era Don Marselo. Quando il dignitario spagnolo comunicò la notizia al borgomastro abruzzese, gli disse che il vino di Cortés sarebbe diventato il vino dei due mondi.
Salpata da Santiago il 18 novembre del 1518, la spedizione di Cortés sbarco sulle rive del Tabasco (Mexico) il 4 marzo del 1519.
La conquista dei territori Maya da parte degli Spagnoli, fu lenta ma costante: dai Maya – Quiche, ai Maya – Itza, passando per lo Yucatan. In quel periodo la civiltà Maya era fiorente nella zona dell’America centrale e in particolare nel Sud del Messico, nell’Honduras, nel Salvador, in Guatemala e nel Belize.
Una delle città più importanti, sottomessa dai spagnoli, fu Quezaltenango. In quel luogo Hernán Cortés lasciò una piccola guarnigione di soldati. Chiese anche a Don Marselo di cominciare proprio a Quezaltenango il trapianto delle viti e la coltivazione dei vigneti.
Oltre a dedicarsi alla produzione di vino, il borgomastro abruzzese dedicò un po’del suo tempo alla conoscenza degli indigeni. Egli scoprì che molte delle cose in cui credevano i Maya, erano quasi sempre in relazione con il sole e le stelle.
Il 25 Luglio era la giornata più potente dell’anno, perché le vibrazioni del sole, condizionavano l’energie mentali dell’uomo.
I Maya credevano nell’effetto domino. Pare che secondo gli indigeni un semplice battito d’ali di farfalla, poteva addirittura scatenare un uragano. Il calendario Maya considerava la quantizzazione del tempo e dell’energia cosmica come un salto quantico, che comprendeva cinque Ere. L’Era dell’Acqua, dell’Aria, del Fuoco e della Terra si erano concluse con immani sconvolgimenti ambientali. L’attuale Era, chiamata dell’Oro, secondo il calendario Maya terminava il suo computo alle ore 11,11 (ora italiana) del 21 dicembre 2012.
Nel giugno del 1928 Cortés (il Conquistador) e i suoi uomini più fidati, tra cui Don Marselo, fecero ritorno in Spagna. Il re li accolse da trionfatori e gli conferì anche le più alte onorificenze.
L’Imperatore decise di affidare un altro incarico al Governatore Cortés, che immediatamente lo estese ai suoi più stretti collaboratori. Ma questa volta Don Marselo preferì rifiutare l’offerta, perché ormai appagato dalle conoscenze e dai doni ricevuti (Spagnoli e Maya). Il borgomastro si congedò con un lungo commiato dal suo amico Cortés, per ritornare alle tanto amate colline abruzzesi.
Oggi alcuni dei doni ricevuti da Don Marselo, si trovano ancora in Abruzzo. Tra questi spicca un medaglione Maya, dove è riportata una data dell’Era dell’oro, diversa da quella conosciuta e scritta nei calendari Maya. Secondo quando raffigurato nel medaglione, la fine dell’Era dell’oro e quindi la fine del Mondo è fissata per le ore 11,11 (ora italiana) del 21 dicembre 2022.
Il tesoro del Monte Morrone
Si narra che nel 451 d.C., l’imperatore romano Valentiniano III, per paura che Roma fosse nuovamente saccheggiata dai barbari e precisamente dagli Unni di Attila (nel 410 d.C. furono i Goti di Alarico), dispose che il tesoro reale venisse nascosto nella vicina Samnium in Aprutium (Abruzzo) e precisamente nei pressi del Morrone e della Majella.
Il tesoro venne sotterrato su un piccolo colle, allora chiamato monte Palayus e ribattezzato in seguito monte Pajo. Successivamente l’imperatore Valentiniano III fece giustiziare tutti quelli che conoscevano l’ubicazione del tesoro, compreso diversi legionari e molti schiavi di origine sannita. Ma nel 455 d.C. anche l’imperatore morì, portandosi il segreto nella tomba.
Per la cronaca Attila fu sconfitto nella battaglia di Chalony (Gallia, 20 giugno 451 d.C.), dal generale romano Ezio, con l’aiuto di altri barbari, tra cui i Visigoti.
La leggenda racconta che i primi insediamenti nella “valle delle castagne”, l’attuale “valle dell’Orta”, nacquero per opera di alcuni schiavi di origine sannita nel 456 d.C. I quali, dopo la morte di Valentiniano III, erano fuggiti da Roma e seguendo l’indicazione di uno schiavo di nome Robertus erano arrivati nella “valle dell’Orta”. Qui rimasero talmente affascinati dal paesaggio e dalla maestosità della “Majella”, da rimanere per sempre in quel luogo.
Le prime costruzioni comparvero su una piccola collina ai piedi del “Morrone”, a cui i nuovi arrivati diedero il nome di “Monte Pajo”. Altri insediamenti vennero costruiti su altre piccole colline, che presero il nome di “colle della Felce”, “fonte Ferturero”, “colle Bianco”, “Palumbala” e “colle S. Martino”…….